Gli uomini hanno bisogno d’aiuto, in modo particolare per chiarire e rafforzare le loro dinamiche specificamente maschili. Un aspetto della cultura odierna cerca di minimizzare-se non addirittura disprezzare - la maschilità; spesso è denominata “tossica” ed è accusata d’essere sorgente della violenza e delle discriminazioni nel mondo d’oggi. San Giovanni Paolo II, invece, ci insegna che “il maligno tenta di eliminare ogni forma di Paternità”. Così possiamo rileggere la confusione sul gender e lo smarrimento di molti uomini come conseguenza di questo piano contro l’umanità. Anche la femminilità e la maternità perdono il loro splendore e le loro dignità sono offuscate se la maschilità viene disprezzata.
Il ritiro per uomini vissuto qui a Medjugorje voleva rispondere a questo bisogno degli uomini di potersi ritrovare e condividere aspetti dell’ “essere maschi” che costituiscono la nostra profonda bellezza. Un presupposto del ritiro era che gli uomini hanno bisogno di altri uomini per diventare uomini. Senza il confronto e il modello maschile davanti a noi, senza la presenza d’un uomo che ci comunichi fiducia e affetto, non avremo mai sicurezza interiore e nemmeno confini morali solidi. (85% dei prigionieri maschi e coloro che sono immischiati nelle varie dipendenze hanno problemi specifici con la figura paterna) Il ritiro di quattro giorni ha avuto sempre i suoi momenti di catechesi e di condivisione all'aperto, nella prima cattedrale di Dio, il creato. Abbiamo costruito uno spazio sacro nella natura, formato d’un cerchio di cuscini. All’interno si doveva ascoltare e condividere le verità dell’anima con la massima trasparenza e con la fiducia più grande possibile. Questo richiedeva una previa preparazione con le regole del ritiro che insisteva ripetutamente sul rispetto e del segreto obbligatorio che avrebbe dovuto caratterizzare le condivisioni. I temi visitati erano vari, ma tra le più importanti spiccano quella della ferita del padre e quella del lutto. Effettivamente, è molto difficile per gli uomini riconoscere ed appropriarsi del proprio dolore ed esprimere e piangere le proprie colpe. Un'altra dinamica consisteva nel vivere diversi “riti” che cercavano di drammatizzare varie esperienze di ferita e d’angoscia, in una maniera di poter accoglierle ed offrirle con realismo, fiducia e responsabilità. Questi “rituali” favoriscono la nostra maturazione e lanostra responsabilizzazione come uomini e padri. Un esempio era il rito delle benedizioni che concludeva ciascuno di questi giorni. Ogni fratello guardava ad un altro fratello negli occhi, con la mano sulla spalla, e diceva qualcosa di personale dell’altro che lo aveva edificato durante quel giorno. Non sempre siamo abituati a sentire “cose belle” di noi stessi, o a sforzarci di comunicare parole incoraggianti agli altri. Tal rito era veramente il coronamento di questi giorni. Sono rimasto molto impressionato di fronte all’apertura dei fratelli che hanno partecipato a questo ritiro, e sono rimasto anche edificato dalla fiducia reciproca che permetteva lo scorrere delle lacrime e gli abbracci che normalmente rimangono nascosti tra di noi.